Questo viaggio è stato pieno di emozioni.
Alla fine dello scorso anno scolastico, quando la prof Mangione mi ha proposto e parlato del progetto, mi sono sentita molto onorata ed emozionata, perché era qualcosa di diverso e non vedevo l’ora che arrivasse agosto per iniziare questa nuova avventura. Quando, finalmente, siamo partiti e arrivati in Austria è stato stupendo poter guardare nuovi paesaggi che sembravamo quasi fiabeschi dal tanto verde di una natura pura e curata.

Fin da questo primo momento, ho capito che lo sguardo sarebbe stata una parte fondamentale del viaggio.
Durante la settimana abbiamo visitato e scoperto numerose Veroniche. La prima cosa che subito ho notato è che le Veroniche sono rappresentate in modo diverso l’una dall’altra: il naso, i capelli, la barba, la forma del viso, chi sostiene il velo, gli occhi; dipinte o scolpite… È stato stimolante trovare nuove Veroniche. Questa ricerca continua ci portava ad avere sempre uno sguardo speciale in qualsiasi chiesa abbiamo visitato, Lo sguardo e l’attenzione che dovevi avere era molto alta, perché la Veronica poteva essere ovunque, anche sulle chiavi di volta. Senza rendercene conto l’occhio e lo sguardo erano gli unici strumenti in nostro possesso per la nostra ricerca.
Quando, finito il viaggio, ci siamo confrontate sull’esperienza, è stato magico pensare che abbiamo visto delle opere realizzate nel 1300-1400-1500, in tempi antichi. Così ho pensato a quante persone prima di noi le avevano già viste e alle loro diverse e molteplici impressioni ed emozioni provate. A volte mi è capitato di rimanere delusa da alcune Veroniche trovate perché mi sembravano troppo semplici o simili ad altre già viste; poi però pensavo che io ero stata fortunata a vederle grazie a un viaggio, faticoso e impegnativo, ma “facile”, in macchina, a differenza di molti pellegrini che per poterle guardare e osservare avevano percorso lunghi viaggi a piedi. E così il mio sguardo cambiava.

Un altro elemento rispetto allo sguardo che mi ha colpito sono stati gli occhi: le Veroniche in cui non c’erano gli occhi visibili, perché l’affresco si era rovinato o gli occhi erano stati dipinti chiusi, mi hanno dato meno sensazioni ed emozioni rispetto alle Veroniche rappresentate con gli occhi aperti ed espressivi. Il bello infatti, secondo me, delle Veroniche è che ogni Cristo dipinto non ha mai lo stesso sguardo: felice, triste, sofferente, serio…. È come se ogni sguardo ti guardasse e ti trasmettesse le proprie emozioni e pensieri a seconda di come era stato dipinto. Invece, le Veroniche in cui non c’era lo sguardo di Cristo, mi ricordo in particolare quella nella cappella di Totentanz, non mi hanno dato le stesse emozioni.
Da questo viaggio ho imparato molte nozioni artistiche, storiche e linguistiche, ma rispetto a me, Giulia, mi sono resa conto di quanto uno sguardo possa davvero dire più di mille parole e… non è solo una frase fatta!

P.S.: Uscendo dalla chiesa di St. Elizabeth, mentre riconsegnavamo le chiavi alla gentile signora, mi sono fatta una domanda che poi ho condiviso con la prof e Luisa, una delle mie compagne d’avventura: “Ma tra 3000 anni – per non dare un tempo troppo limitato alla signora – chi avrà le chiavi? A chi saranno affidate?” E lì mi sono resa conto del fatto che noi siamo i giovani e siamo il futuro e siamo noi che dobbiamo diffondere le informazioni, quello che abbiamo scoperto per far sì che non vada niente nel dimenticatoio.
Giulia F. de le.treveroniche
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