di Federico Carluccio
Nel XVI secolo il Salento si presentava come un crogiolo di diverse culture, un punto di incontro ove varie tradizioni e correnti artistico-culturali si mescolavano creando accostamenti alquanto originali. Lecce, già a partire dalla metà del secolo precedente, ospitava colonie di mercanti: Genovesi, Ragusei (Croati) ma soprattutto Veneziani, i quali avevano costituito delle vere e proprie colonie mercantili ed eretto addirittura delle nuove chiese.
Questi ultimi, assieme ai Turchi che ininterrottamente assediavano le coste salentine e ai flussi di pellegrini che varcavano l’antica Porta d’Oriente, “Ydrentòs” (Otranto), per recarsi in Terrasanta, costituirono la matrice di contaminazione iconografico-stilistica dell’arte otrantina cinquecentesca che, si presenta ricca di motivi arabeggianti e di persistenze bizantine.
Oggetto di particolare interesse in questo territorio è l’iconografia del Velo della Veronica, allora più importante reliquia della cristianità; gli esempi sono molteplici: alcuni, condividono l’associazione alla precedente acheropita orientale, ovvero il Mandylion di Edessa, il quale, essendo una reliquia è, secondo la concezione religiosa greca, equivalente ad un’icona poiché dipinta secondo i canoni stabiliti dai Concili e benedetta dalla Chiesa, riprodotta perciò, a “misura e somiglianza” dell’ originale.
Queste riproduzioni, infatti, sono del tutto assimilabili ad icone bizantine: i Volti sono ieratici, non presentano i segni della Passione, distaccandosi in questo modo dal carattere “patiens” della Veronica Romana e dalla tradizione escatologico-teologica diffusa dalla fine del XV secolo che vedeva, nella reliquia, il Sudario con cui l’emorroissa soccorse il Salvatore sulla via del Calvario e che trasformò il Volto Santo nell’Imago Pietatis. Nelle rappresentazioni pittoriche i “Volti otrantini” sono inquadrati in panneggi sontuosi, orlati e decorati con motivi a forma di giglio, di cerchio e di rombo come a richiamare i modelli decorativi delle icone orientali inoltre, in certe raffigurazioni, si può addirittura notare il cristogramma greco IC- XC, collocato ai lati del panneggio, come in quello conservato nella sagrestia della Cattedrale di Otranto e attribuito ad Angelo Bizamano. Non mancano, tuttavia, tratti iconografici comuni con il Sudario Vaticano come i denti visibili, il contorno non rigido, i capelli divisi in due parti e la barba a punta.
Due tra gli esempi più significativi dei “Mandylion” cinquecenteschi di ambito salentino

Pervenuta al Museo di Lecce già alla fine dell’Ottocento, l’icona può essere catalogata tra quelle di origine veneto-cretese della prima metà del XVI secolo. (C. Gelao, Icone di Puglia, 1988, p. 152; A. Cassiano, La Puglia, il Manierismo, la Controriforma, 2013, p. 302).
Lo studioso locale don Grazio Gianfreda aveva accostato la tavoletta a quella che corona l’armadio della Sacrestia della Cattedrale di Otranto.
Entrambe le riproduzioni sono accostabili ad un altro Volto Santo, un affresco cinquecentesco situato nella Chiesa di Santa Maria de Itri in Nociglia (LE).
Angelo Bizamano (attribuito), Velo della Veronica, prima metà del XVI secolo, Museo Provinciale, (Le).

L’antica cappella presenta una ricchissima decorazione pittorica che si compone di stratificazioni di affreschi inquadrabili in sei fasi decorative con programmi iconografici eterogenei che abbracciano numerosi secoli (dall’XI al XVIII). Il Mandylion in questione viene datato, in base ai rilievi effettuati sui livelli pittorici, intorno al XVI secolo ma, iconograficamente, è associabile ad un’altra immagine precedente ed affine, incastonata entro una piccola nicchia nella parete absidale della chiesa di San Giovanni Evangelista in San Cesario (LE) (fonte: Nociglia, chiesa di Santa Maria de Itri. Un palinsesto pittorico sulle rotte lucane, a cura di Sergio Ortese, ed. Lupo, 2011). Entrami i Volti Santi, infatti, presentano una peculiarità molto interessante: quello di San Cesario, datato 1329 è posto all’interno della cosiddetta “prothesis”, nicchia utilizzata dal diacono per la preparazione della “prosphorà”, il pane liturgico, mentre il Panno di Nociglia è posto immediatamente al di sopra della stessa, evidenziando un forte collegamento con altre raffigurazioni della Cappadocia.
Mandylion, XVI secolo, chiesa di Santa Maria de Itri, Nociglia (Le).


Come si può notare, la presenza di un Volto Santo al di sopra della “prothesis”, luogo utilizzato squisitamente dal rito orientale, è indicativo di come il gusto bizantino continui a persistere nella terra d’Otranto anche dopo molti secoli.
Tuttavia nel Salento cinquecentesco, assieme agli influssi iconografici orientaleggianti, convivono anche numerose raffigurazioni sia pittoriche che scultoree che potremmo definire “aggiornate” cioè, per così dire, conformate alle nuove istanze dottrinali circa la rappresentazione della Veronica largamente diffuse, nel resto d’Europa, già a partire dal XV secolo.
Le nuove “Imagines Pietatis” si presentano soprattutto in forma di bassorilievo, poste all’apice dei portali come a richiamare la contemplazione dell’acheropita durante le ostensioni vaticane. Gli attributi iconografici sono comuni: i Volti sono sofferenti e coronati di spine, sovente il Velo è sorretto da due putti adoranti; l’insieme è inquadrato all’interno dell’architrave, del timpano o nella trabeazione di grandi portali in pietra calcarea.
Alcuni degli esempi più significativi di Imagines Pietatis




Una rappresentazione pittorica esemplificativa è quella collocata nella chiesetta Abbaziale della Madonna dell’Alto Mare a Felline (LE). Il Sudario in questione è inscritto all’interno di una lunetta al di sopra dell’affresco rappresentante la Trinità; l’affresco è a sua volta inquadrato in un finto altare emerso dopo i recenti restauri che hanno riportato alla luce gran parte del complesso pittorico.
Affresco, 1577, ex chiesetta abbaziale della Madonna dell’Alto Mare, Felline (Le).
In conclusione, emerge chiaramente come, la Terra d’Otranto, con le sue singolari contaminazioni etnico-artistiche, sia stata, nel XVI secolo, una vera e propria “Alma Mater” ovvero sia una “Madre Feconda” per la diffusione iconografica della Veronica Romana e, simultaneamente, una tutela per l’antica fisionomia dell’Acheropita Edessena.