«Il Tuo Volto Signore io cerco»: il culto della Veronica nei libri miniati
di Silvana Tassetto
I manoscritti miniati offrono una preziosa testimonianza del grande desiderio di vedere e conoscere di più il vero volto di Cristo, che in tutta Europa nel Medioevo si era riacceso con le preghiere e le indulgenze legate alla Veronica romana e con l’istituzione dell’anno giubilare. Fino al 1400 esso è per lo più un volto radioso e senza i segni della Passione; l’immagine è frontale e rimanda analogicamente al mistero eucaristico, non solo dal punto di vista iconografico, ma anche per la sua posizione all’interno del testo (posta ad esempio vicino al Canone). Un primo esempio significativo in questo senso è nel libro enciclopedico in due volumi Omne bonum, compilato a Londra dallo scriba della tesoreria reale James le Parler attorno al 1360-65. Qui il Volto Santo compare ben tre volte, a f. 15 nell’Arma Christi, seguito dall’inno Ave facies praeclara e da un accenno al fatto che già con la contemplazione dell’imago pietatis si possa ottenere l’indulgenza; e nei fogli 16 e16v a commento del tema della visione beatifica e salutare di Dio. E’ un viso gigantesco, con la barba divisa secondo il tipo della Veronica romana: a f. 16 sferico, come l’ostia consacrata, le altre due volte a mezzo busto, come il prototipo inglese duecentesco miniato nella Chronica Majora di Matteo di Parigi. Un secondo esempio è nel Messale proveniente dall’abbazia benedettina inglese di Santa Maria a Sherborne, dell’inizio del XV secolo. A f. 279, in corrispondenza della festa del Corpus Domini, vi sono due iniziali istoriate: nella C in alto è raffigurato il celebrante nell’atto di porgere la comunione e, subito sotto, nella D una piccola Santa Veronica che, quasi china, allarga le braccia mostrando il candido velo con impresso il Volto Santo. Sulla sinistra il committente, l’abate Bruyning in devota preghiera davanti alla visione beatifica, invita l’orante a partecipare della sua stessa esperienza. Un terzo esempio, infine, sono le piccole Veroniche dipinte in serie su cuoio o pergamena, spesso cucite vicino alla preghiera del Canone, che si inserivano sia nei libri di devozione privata sia monastica; per i laici essi rimanevano come ricordo, dopo essere state usate come badges durante il cammino verso Roma.
Il Volto Santo impresso sul velo richiama la tradizione bizantina del mandylion; nell’iconografia della Veronica, tuttavia, esso non compare quasi mai il solo sudario: è possibile trovarlo sostenuto da angeli o tra i Santi Pietro e Paolo in ricordo del pellegrinaggio romano; In riferimento al Giubileo, può anche trovarsi ostentato da un accolito, come nella miniatura con Papa Sisto IV che mostra la Veronica in San Pietro durante il Giubileo del 1475 (anche in questo caso l’immagine, posta sopra l’altare, acquisisce un forte significato eucaristico).
Dal XV secolo la sua presenza si attesta quasi esclusivamente nei Libri d’Ore e di preghiere ad uso sia monastico sia laicale; essi possono essere semplici o molto raffinati, a volte realizzati per i papi, i grandi regnanti e i loro dignitari dai più importanti artisti dell’epoca. Qui l’Ufficio della Veronica, era accompagnato da una copia dell’immagine del Volto Santo e si apriva con la supplica presa dai Salmi 4,7 e 67,2, seguita dalla preghiera di papa Innocenzo III, dagli inni Ave facies praeclara e Salve sancta facies, cui solitamente era premessa una nota che dava spiegazioni sull’indulgenza ad essi connessa. Il velo è raffigurato quasi sempre tenuto da santa Veronica che, come intermediaria, offre il Volto Santo e guarda chi legge, invitandolo a partecipare del suo stesso dono. Spesso la santa è graziosamente vestita in abiti orientali, in riferimento alla donna emorroissa Berenike, a cui viene associata nelle leggende più antiche, come si vede in un bel Libro d’Ore fiammingo.
La religiosità in Italia è da sempre più corale, in Europa più intima, ed è forse questo il motivo per cui, anche se la Veronica era custodita a Roma, la pratica votiva ha avuto più larga fortuna nei Paesi d’Oltralpe (nell’area franco-fiamminga, ma anche nei Paesi Bassi, in Germania e in Inghilterra), sicuramente grazie alla devozione pietistica privata promossa dal movimento della Devotio Moderna. L’arte nordica del Quattrocento sembra quindi più intenzionata a rispondere, attraverso il forte realismo delle immagini sacre, al bisogno di un rapporto individuale con il destinatario della propria preghiera. Diventa una sorta di dialogo in cui il mondo del devoto e l’oggetto della devozione si fondono senza soluzione di continuità, come accade con i busti-ritratti di Cristo, che si attenevano alla descrizione fisica tratta dalla lettera di Publio Lentulo a Tiberio, cui gli artisti largamente si ispiravano.
Fino al 1400, qualsiasi fosse il testo di riferimento e la variante iconografica ad esso abbinata, il Volto di Cristo appariva comunque privo di segni di dolore. E’ solo dopo tale data che, tra le litanie della Passione viene aggiunta quella della Veronica, mentre nell’Ufficio, all’inno Salve sancta facies, che parla di un viso trasfigurato, inizia ad abbinarsi un’immagine dolorosa o la Veronica che segue e accompagna Gesù nel cammino verso il Golgota. Lo si vede, ad esempio, in un Libro d’Ore fiammingo già dell’inizio del XVI secolo, dove è Cristo stesso, oltre a portare la croce, che aiuta la santa a mostrare il Suo volto sofferente e misericordioso. Tale cambiamento, ripreso anche nelle processioni di popolo e nelle sacre rappresentazioni, è sicuramente legato alla diffusione degli ordini mendicanti, soprattutto quello francescano, che metteva in primo piano l’umanità dolente di Cristo.
